Mio padre, tifoso della squadra del paese e della Nazionale…
Mio padre era tifoso della Nazionale. Non aveva una particolare simpatia per le squadre di serie A. Il gioco del calcio gli piaceva molto, tanto da trasferire questa passione a me. Quando è tornato dalla prigionia, due anni nel campo di concentramento di Buchenwald, si portò dietro come cimelio un paio di scarpe da “calcio”. Li teneva avvolto in un panno scuro, come una reliquia, invece di sbarazzarsene: due scarpini con sei tacchetti di cuoio attaccati con dei chiodi piccolissimi. Non sono mai riuscito a capire perché teneva tanto a quelle ciabatte e, io non ho insistito più di tanto nel capire il perchè. In concreto, mi ha trasmesso questa passione da piccolo, potevo avere circa 9 o10 anni, la domenica mi portava in cima al paese dove c’era un terreno 70m x 50m, leggermente in salita, e ogni inizio stagione si doveva deviare il corso d’acqua che proveniva dalla montagna, con tanti difetti, però, aveva il pregio di avere l’erba naturale anche nel periodo più caldo della stagione. Quando la squadra giocava fuori, mi portava anche in ‘trasferta’, le nostre erano viaggi di pochi chilometri: Palata, Tavenna, Montecilfone, Guardialfiera, quella più lunga a Guglionesi. Il nostro mezzo di trasporto era una Vespa 125cc di colore chiaro, lui alla guida, il suo amico del cuore dietro e io davanti in piedi, il parabrezza ci proteggeva dal vento. Questi ricordi non mi hanno mai abbandonato, mi hanno dato energia quando mi sono cimentato con il pallone, stando attento quando dovevo colpire di testa, perché se incocciavi nella cucitura dove veniva inserita la camera d’aria erano dolori. Ho deciso di rivelare queste pillole di prima età, perché, nel bene e nel male, il gioco del calcio è stato il mio compagno di vita…giocato, parlato, scritto, e ora ve lo racconto su CORRIERESPORT.IT